mercoledì 20 agosto 2014

Su "Noir in Romagna"

Che intervistona sul blog "Noir in Romagna": grazie!

Umberto Pasqui, forlivese, non è uno scrittore noir, ma uno scrittore tout court, con una prosa originale, che di tanto in tanto si è dilettato anche nella scrittura di racconti gialli.

Per sapere come va avanti:

http://vittoriodelponte.blogspot.it/2014/08/intervista-umberto-pasqui.html

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Noto però che a oggi (24.2.19), il blog è sparito e con esso quanto contenuto.
Ho recuperato quanto vi era scritto che qui incollo:
Vorresti presentarti brevemente ai visitatori del blog?
Sono giornalista pubblicista, dottore in Giurisprudenza, dottore in Scienze religiose, insegnante. Ho sempre coltivato la passione per la scrittura. Di carattere riservato, evito volentieri di farmi troppa pubblicità e prendermi sul serio come “scrittore”. A meno che non siano altri a scoprirmi. Sono semplicemente uno che scrive e pubblica delle storie. Non saprei etichettare il genere dei miei racconti; essendone geloso non amo che qualcuno lo faccia per me. Mi occupo anche di storia locale (romagnola, forlivese) e di birra.  
Quali sono gli autori che più ti hanno influenzato?

Ammetto di non essere un gran lettore, quindi non credo di subire influenze. Ho imparato a leggere prima di andare a scuola, grazie a Topolino e alle targhe delle automobili. Certo, mi piacciono i racconti brevi che si prestino a sviluppi metafisici e surreali. C’è chi legge in ciò che scrivo riflessi di Calvino (mi hanno sempre suggestionato le sue “Città invisibili”) o Verne, o situazioni kafkiane. Ma credo che più che altro sia stato influenzato da quadri, quelli di mio nonno Enzo.

A chi ti ispiri per i tuoi personaggi?

A chi vedo in giro, a chi incontro, a cose che mi succedono o che immagino. Prendo un po’ di qua e un po’ di là e misteriosamente ne viene fuori una storia. Non so, a me sembra una cosa semplice. 
I tuoi personaggi spesso hanno nomi inusuali o arcaici: come mai questa scelta?
Perché abbiamo la fortuna di parlare e di scrivere nella lingua più bella del mondo. Quindi evito il più possibile voci “aliene” e vado alla ricerca di espressioni pure e fresche, non inquinate dal contemporaneo sebbene spesso mi piaccia coniare neologismi. Mi curo di riscoprire parole obsolete e dimenticate, avendo premura di non appesantire la narrazione. I nomi inusuali partono appunto da questo presupposto: probabilmente sono bastian contrario e sto bene alla larga dal dare, per esempio, nomi inglesi ai miei personaggi. Perché spesso i “miei” nomi sono legati al luogo in cui abito, hanno un legame affettivo, o sono evocativi, o sono semplicemente desueti.  Mi pare, paradossalmente, che puntare tutto sul locale sia più originale e meno provinciale che omologarsi nel presente globalizzato.
Quando scrivi segui una scaletta fatta preventivamente o ti lasci semplicemente guidare da un'idea?Quando seguo una scaletta è la volta che non porto a termine il progetto. In genere fisso dei punti, non necessariamente consequenziali, e la storia nasce da sé, dai particolari, da cose che noto nella quotidianità, fatti, persone, nomi, luoghi, sogni. Prendo appunti e poi, anche a distanza di anni, ne traggo qualcosa.
Cosa stai scrivendo ora? Oppure eventuali progetti futuri?
Più che altro, adesso, mi dedico alla saggistica: la storia locale è una mia grande passione. Non avendo preso mai tanto sul serio i miei racconti li pubblico in proprio, nell’eventuale attesa che un editore se ne accorga. Per il resto, non perdo occasione di partecipare a concorsi per la realizzazione di antologie, meglio se cartacee.

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